Con l’esposizione “Rotella e il Cinema” allestita alla Pinacoteca Comunale Casa Rusca, la Città di Locarno celebra l’opera di una delle personalità più rappresentative e influenti dell’arte italiana del secolo scorso.
Nel suo percorso di vita artistica Mimmo Rotella (Catanzaro, 1918 - Milano, 2006) si è sempre dimostrato un grande sperimentatore. La sua capacità di aprire uno spazio nuovo e di rivoluzionare i linguaggi artistici del dopoguerra lo ha fatto apprezzare nel mondo e, in particolare, nelle grandi capitali dell’arte che sono state il teatro della sua indagine (Roma, Milano, Parigi e New York).
Oltre che alle principali mostre dei Nouveaux Réalistes e a più di cento esposizioni personali in Italia e all'estero, l'artista ha partecipato a importanti rassegne internazionali fra cui “Italian Metamorphosis” al Solomon R. Guggenheim Museum di New York (1994), “Hall of Mirrors” al Museum of Contemporary Art di Los Angeles (1996), mostra dedicata al centenario del cinema dove sono state affiancate le Marylin di Rotella e di Warhol, "Face à l'Histoire" al Centre Pompidou di Parigi (1996), sino ad arrivare alla partecipazione come maestro storico alla 49esima Biennale di Venezia (2001).
Il tema centrale su cui si focalizza la mostra riguarda il rapporto che l’artista ha avuto con il mondo del cinema. A questo fine, per meglio evidenziare la stretta connessione esistente tra i suoi lavori e la realtà cinematografica, sono stati selezionati alcuni film, i cui manifesti sono stati per Rotella fonte di ispirazione.
Il percorso espositivo – in cui sono presenti una sessantina di opere – analizza il periodo a ridosso degli anni Sessanta fino al termine della sua carriera artistica avvenuta con la sua scomparsa nel 2006 all’età di 87 anni.
Artista eversivo, inventore inesauribile, autore di poemi e di composizioni musicali, suonatore di strumenti a percussione, cantante, attore e viaggiatore instancabile. La vita di Rotella sembra tratta da un romanzo. Da bambino riflessivo e intimamente riservato ad adulto incline alla meditazione quale veicolo per dare espressione alla propria creatività, l’artista descrive così la sua filosofia: “Ci vuole distacco, sintesi, compassione. Soprattutto ci vuole un radar mentale orientato costantemente sulla società”.
Interprete sottile di un mondo in rapido cambiamento, ha documentato i costumi e gli avvenimenti della sua epoca, divenendo lui stesso un personaggio di quella “società di massa” caratterizzata dalla nuova cultura dell’effimero che trova nella comunicazione mediatica la sua ragione d’essere.
Rotella anticonformista lo era davvero tanto da essere l’ispiratore dell’esilarante personaggio di Un americano a Roma di Nando Mericoni interpretato da Alberto Sordi: nel 1952, tornato dagli Stati Uniti dopo un soggiorno alla prestigiosa Università di Kansas City grazie a una borsa di studio della Fulbright Foundation, girava per Roma vestito “all’americana”, secondo una sua idea di elegante eccentricità. Il mito dell’America è di fatto all’origine di molti dei suoi comportamenti esibizionistici e istrionici.
Conclusasi l’esperienza americana, Rotella attraversa una profonda crisi creativa. Convinto che non ci sia più nulla di nuovo da fare nell'arte, interrompe la produzione pittorica e si rivolge quasi esclusivamente a quella poetica e musicale. Come preannunciato nel suo Manifesto dell’Epistaltismo (1949), compone e declama poemi “fonetici” tramite il linguaggio epistaltico descritto come “il mezzo espressivo costituito da parole e da suoni senza alcun nesso logico o significato apparente, ma aventi in se stessi un contenuto emozionale. Dove la parola è soprattutto suono e la voce non deve essere limitata dalla monotonia del linguaggio articolato.”
È però in questa Roma degli anni Cinquanta in cui si respira un clima culturale effervescente e dinamico concentrato sul dibattito tra astrattismo e arte figurativa, che l’artista ha improvvisamente quella che definisce un’ “illuminazione Zen”: la scoperta del manifesto pubblicitario come espressione artistica della città.
Sono le lacerazioni causate dalle intemperie e dai passanti a suggerirgli nel 1953 di strappare furtivamente i manifesti affissi sui muri per poi collezionarli nel suo atelier. Con grande intuizione e preveggenza, Rotella si appropria del manifesto e dei suoi frammenti.
Nascono i primi décollages e i retro d’affiches costituiti da vari strati di manifesti incollati su una superficie di cartone o di tela, siano essi il recto o il verso, rielaborati nello studio tramite un raschietto appuntito (che richiama lo strumento del pennello ma che è più industriale e impersonale), con cui traccia dei ritagli sui lembi di carta.
Un’invenzione in sé inevitabile, tanto che circa negli stessi anni altri artisti la sviluppano. Infatti Rotella condivide lo stesso interesse con Jacques Mahé de la Villeglé, Raymond Hains, François Dufrêne, Gérard Deschamps i quali, su invito del critico francese Pierre Restany nel 1960, confluiscono nel Nouveau Réalisme che riunisce, fra gli altri, Yves Klein, Arman, Jean Tinguely, Daniel Spoerri, César, Christo e Niki de Saint Phalle.
Il movimento intercetta la straordinaria trasformazione degli anni Sessanta in cui il vero protagonista è il consumismo in tutte le sue differenti declinazioni. È un mutamento profondo percepito chiaramente da Rotella che ricorre ad un simbolo del contesto urbano e lo immette nel circuito dell’arte. I suoi décollages sono contrassegnati da una ricchezza segnica e visiva dove lo strappo emerge in tutta la sua carica trasgressiva e provocatoria.
Riprendendo le sue parole: “Io incollo i manifesti poi li strappo: nascono forme nuove, imprevedibili. Ho abbandonato il cavalletto per protesta.”
In questa sua necessità di andare oltre la pittura per conquistare nuovi spazi fisici e mentali l’artista decide, in seguito, di impadronirsi di tutta l’immagine del manifesto. Smette di produrre i retro d’affiches in favore dei décollages contraddistinti da immagini chiaramente leggibili e orienta la sua produzione verso opere di tipo maggiormente figurativo come Ercole (1960), Al Malibran (1962), Marilyn truccata (1963).
Sempre più attivo tra l’Europa e gli Stati Uniti, Rotella lavora a stretto contatto con gli artisti a lui contemporanei, esperienza che culmina nella partecipazione a due esposizioni collettive “The Art of Assemblage” (1961) e “New Realists” (1962) tenutesi a New York.
Nel 1962, gli spunti iconografici e linguistici del cinema e del manifesto cinematografico sono presentati in occasione della sua prima personale parigina “Cinecittà” alla Galerie J.
Rotella irrompe nell’universo delle celebrità del grande schermo (La dolce vita, 1963) e si appropria dei volti dei grandi miti di Hollywood (Marilyn Monroe, Liz Taylor, Rita Hayworth, Clark Gable, John Wayne, Cary Grant, Elvis Presley, Liza Minnelli, Anita Ekberg, Sophia Loren, Marcello Mastroianni), dell’aspetto grafico delle scritte e dei titoli, ma anche delle immagini da circo, della cartellonistica pubblicitaria sui beni di largo consumo, come delle tragedie politiche.
In occasione della XXXII Biennale di Venezia del 1964, a Rotella viene assegnata una sala dove trovano posto i grandi décollages realizzati negli anni precedenti tra cui Marilyn (1963), l’opera che ottiene più successo e Il grande circo (1963), presente in mostra. È la consacrazione ufficiale, ma avviene nel periodo più drammatico della sua vita: accusato di possesso e spaccio di stupefacenti, trascorre cinque mesi di detenzione a Regina Coeli fino al processo, conclusosi con un’assoluzione generale. L’esperienza del carcere lo segna profondamente tanto che decide di trasferirsi a Parigi, dove resterà per una quindicina di anni, accolto dall’amico Restany e dalla moglie Jeannine.
Ricercatore infaticabile, Rotella sperimenta tutte le possibili variazioni sul tema delle affiches senza sottrarsi ad altre strade dell’avanguardia: dalla Mec-Art o arte meccanica (1963) in cui sviluppa la tecnica dei riporti fotografici ovvero la stampa di fotografie tratte da ritagli di giornali, riviste e istantanee scattate con la Polaroid e proiettate sulla tela emulsionata come in 8½ e La dolce vita (1963), agli artypos o arte tipografica (1966-74) caratterizzata da quadri realizzati con prove di stampa riprodotte liberamente sulla tela (Cavalcata, 1966 e Questo difficile amore, 1974), alla tecnica dei blanks (1980) in cui i manifesti sono ricoperti da veline colorate che occultano l’immagine sottostante (come avviene per la pubblicità scaduta), alla pittura acrilica (Shanghai, 1984 e Arancia meccanica, 1984), fino alle sovrapitture (L’eroe, 1986). Ispirate al graffitismo, queste opere sono caratterizzate dalla presenza di manifesti su cui è apposto un segno pittorico che ricalca le scritte che si leggono sui muri (messaggi d’amore, scritte politiche, ecc…).
Nell’ultimo periodo della sua attività, dopo la serie delle nuove icone, Rotella torna al décollage declinandolo con rinnovata energia. Sono di questo periodo i lavori in cui utilizza i poster di colossal come Lassù qualcuno mi ama (2000), Via col vento (2004) o Fort Apache (2004). Tra tutti gli attori che in questi anni ripopolano l’universo rotelliano è però sempre Marilyn che incarna ai suoi occhi la potenza seduttiva dell’universo femminile, per lui icona cinematografica senza tempo. Si triplica, come in un sogno senza fine, in Le Marilyn di Rotella (2002), torna in Cinemascope (2003) e giganteggia in Mirabilia (Marilyn) (2004). Nello stesso tempo l’artista segue con attenzione gli sviluppi più recenti della produzione cinematografica. Diventa amico di giovani registi come Mimmo Calopresti, di cui è presente in mostra il film documentario che il regista realizza nel 2004 su Rotella stesso e dal titolo L’ora della lucertola. Si appassiona ai film di Quentin Tarantino, divenuto uno dei cineasti cult soprattutto tra le ultime generazioni (Dal tramonto all’alba, 2004). Ispirandosi a film di grande impatto come Matrix (1999), nel 2004 esegue un lavoro dallo stesso titolo, lungo 3 metri e ricavato da una serie di manifesti del film, incollati uno a fianco all’altro sopra una grande lamiera.
Nel 2000, per volontà dell’artista, è stata costituita la Fondazione Mimmo Rotella a cui ha fatto seguito l’inaugurazione nel 2005 della Casa della Memoria a Catanzaro: la casa natale raccoglie un corpus di opere importanti del Maestro e si pone come punto di riferimento per lo studio, la divulgazione e la promozione dell'arte contemporanea.
Nel 2012 è stato costituito per volontà delle eredi Inna e Aghnessa Rotella, il Mimmo Rotella Institute, il cui fine è promuovere, a livello nazionale e internazionale, la conoscenza e la tutela della figura e dell’arte di Mimmo Rotella.
La mostra, in collaborazione con la 69esima edizione del Festival del film di Locarno, resta aperta fino al 14 agosto 2016 ed è organizzata con il Mimmo Rotella Institute e la Fondazione Mimmo Rotella.